NAPOLI – I Quartieri Spagnoli di Napoli sono congelati nel degrado urbanistico-architettonico e vengono isolati dai muri dall’invisibile pregiudizio sociale. Eppure essi hanno un cuore, un Quore Spinato, quello che hanno saputo tirare dalle viscere delle pietre Cyop&kaf, nome d’arte rigorosamente da rispettare con cui si identifica una “realtà” di artisti napoletani, famosa per i murales sparsi nella città. Dopo le lampade installate da Riccardo Dalisi nel 2001, i Quartieri Spagnoli si riconfermano luogo di ispirazione per l’arte contemporanea napoletana.
L’ARTE TRA I VICOLI DEI QUARTIERI – In tre anni di intenso lavoro “chirurgico” Cyop&kaf hanno dipinto un “bestiario medievale” di circa duecento unità disseminato sui muri dei palazzi, sulle saracinesche di negozi e di botteghe, sugli androni, sotto i cornicioni e i balconi della abitazioni. Hanno ascoltato tra le pieghe più recondite della struttura architettonica e ne è uscita fuori una mappatura degna da itinerario di studio.
5 ANNI DI MURALES – Dal 2009 ad oggi Quore Spinato ha investito i filari dei quartieri, dalla Pignasecca a Chiaia, arrampicandosi sino al limite del Corso Vittorio Emanuele. Durante la realizzazione delle pitture, i residenti hanno partecipato al corso d’opera, spesso richiedendo espressamente di “ridecorare” la propria bottega o il proprio portone. Si è innescato così un legame personalissimo tra opera, contesto, autore e pubblico: Legno Ferro Tabacco (2007), Apriti! (2011), A difesa del banco dell’acqua (2013), Cantina ai Quattro Cantoni (2012). Le forme del territorio e della presenza umana costituiscono un’ispirazione forte per alloggiare i soggetti: Difesa natural durante poggia su una cabina della rete elettrica; nell’invaso della scala di San Pasquale Solletico al gigante sfrutta il muro per scagliare le sue frecce mentre La resa dei colti si paracaduta sulle gradinate.
FAR PARLARE I MURI – Anche per cyop&kaf si tratta di voglia di abbellimento? Non si sa, forse. Sicuramente all’edificio in vico Porta Carrarese a Montecalvario, distrutto dal terremoto, è stata riconsegnata una vitalità con Il calcio in testa (2011) e da Dentro le mura (2011). A far agire questo meccanismo artistico è stato anzitutto un richiamo: mettere “on the wall” ciò che il luogo trasmette. A lasciarlo lì, a vivere come a morire. Alcune “creature” infatti sono scomparse, sotto una mano di intonaco moderno o per l’usura del tempo.
NON CHIAMATELA STREETART – Niente a che fare il graffitismo metropolitano. Il progetto cyop&kaf è una creatura tutta personale, non si piega a definizioni e schemi. Le figure sembrano vivere tra passato e futuro come «uomo del mediaevo, un baratro tra l’uomo analogico e quello digitalvirtuale», cyborg antropomorfi o zoomorfi, chiodati e bardati, che si nutrono di storia, lingua, antropologia, napoletanità, quotidiano. E i muri, soprattutto quelli di Napoli, il tufo e il piperno, sono come calamite da cui si evoca a nuova vita molto più di quanto essi mostrino, a volte anche ossessioni ed inquietudini. Ecco perché cyop&kaf non bada a scrupoli sull’estetica dei contenuti, no alla “politica del carino”. Non è pubblicità o messaggio socio-politici: i loro sono versi «che se suonano bene sono musica». Chi può giudicare cosa sia bello o brutto? Chi detta le regole del tempo per limitare l’evoluzione dell’arte?
CYOP&KAF AL CINEMA –Di recente è stato molto applaudito “Il segreto” (Italia, 2013), primo film realizzato da cyop&kaf, in concorso per la sezione doc/Italiana del 31° Torino Film Festival.
Senza attori né fiction, i registi hanno girato un docu-film per raccontare le baby bande napoletane di vari quartieri che gareggiano al rituale cippo di Sant’Antonio, o’ fucarazz, del 17 gennaio. Come spettatori dietro una telecamera hanno seguito on the road la raccolta della legna, le ronde notturne, la tensione della sfida, la custodia del bottino (il segreto, per l’appunto, ndr), le fiamme mitologiche che ardono tra le rovine moderne di non-luoghi nati dal terremoto.
Lo scorso 30 novembre la giuria li ha premiati con il premio UCCA. «Per l’approccio convinto, lucido ed appassionato ad una realtà dalle molteplici sfumature, quella di una Napoli vera, intensa e contraddittoria al tempo stesso», recita la “menzione speciale”, vuol dire che il documentario ben dimostra come non servano formule speciali per raccontare l’identità di una città. La realtà della vita e il quotidiano continuano ad essere i soggetti migliori per ottenere un’opera d’arte. Anche nelle sue “tinte forti”.
Giovanni Postiglione
(photo by Susy Mansueto)