di Vincenzo Martino
Il secondo atto di Napoli-Juventus, tre giorni dopo il pareggio in campionato, metterà in palio l’accesso alla finale di Coppa Italia, e al Napoli di Sarri servirà l’impresa. Sarà necessario ribaltare il 3 a 1 subito allo Stadium, la stessa impresa che, ahimè, non è riuscita nel ritorno degli ottavi di Champions League contro il Real Madrid. Questa volta però, gli azzurri possono fare tesoro dell’esperienza fatta con gli spagnoli, e imitare una strategia rivelatasi vincente.
La psicologia conta molto in queste sfide che iniziano con l’handicap; dove si è già in affanno, già in salita per un risultato da recuperare, e dove la difesa della propria porta conta quasi più della ricerca ossessiva di fare gol. Basta subire una rete e la qualificazione risulta quasi completamente compromessa, e al diavolo se si sta giocando bene, se si sta dominando. Per chi ha programmato di fare due gol, perché di quelli ha bisogno per superare il turno, basta prendere un gol, anche quando si è in vantaggio, anche quando si sta dominando, come successo al Napoli contro il Real, che se ne devono fare di colpo tre.
Una mazzata tremenda al morale, così forte che stordirebbe chiunque, soprattutto chi non era preparato, e fatica a riordinare le idee, a rialzarsi. Forse Luis Enrique, l’allenatore del Barcellona, lo aveva capito, lo aveva immaginato, lo sapeva già; o forse lo intuiva dopo la clamorosa sconfitta del suo Barcellona contro il Paris Saint Germain (4-0). Lucho sembrò irriverente, quasi presuntuoso, quando disse con estrema tranquillità che al ritorno la sua squadra avrebbe dovuto e potuto fare sei gol. Perché sei? Lucho cosa dici? Ne bastano cinque. Mal che vada quattro, e vai ai supplementari. Sarebbe già un’impresa andare ai supplementari. Invece no, Luis Enrique già sapeva, aveva già previsto tutto, forse lo aveva visto. Ecco che al fischio finale, quell’inspiegabile irriverenza diventò di colpo una visione diventata concreta. In quel memorabile ritorno contro il Paris Saint Germain, al Camp Nou, il suo Barca si portò presto sul 3 a 0. Sembrava un gioco da ragazzi fare un altro gol, per chi ne aveva già fatti tre. Sembrava fatta, bastava solo un gol per agguantare l’obiettivo minimo dei tempi supplementari.
Il più era fatto. Ma il “golletto” si può sempre subire, e sempre li, in agguato, soprattutto per chi deve attaccare. Ed in effetti quando Cavani segnò il punto per la sua squadra, al Barcellona di colpo sarebbe servito fare altri 3 gol, e arrivare a quei fatidici 6 che aveva previsto Lucho subito dopo la disfatta in Francia. La visione si stava materializzando, stava prendendo corpo. Non ci sarebbero stati i supplementari, l’unica certezza. Ma nessun sbandamento, nessun crollo psicologico, nessun programma stravolto. Quelli del Barcellona sapevano che nulla era cambiato. Il “Piano A” era sempre stato quello di fare sei gol, e ne continuavano a servire 6. Le parole di Luis Enrique furono chiare nel suo essere profetiche. Il Barcellona aveva preparato mentalmente la gara per fare sei gol, e sei ne avrebbe dovuto continuare a fare. Contro la Juventus, per non ripetere quello che successe contro il Real Madrid, il Napoli di Sarri dovrà essere preparato mentalmente a fare quattro gol, per evitare sbandamenti in caso di gol subito. Il Napoli, si sa, non è impenetrabile in difesa. La Juventus un gol può sempre farlo. Ma gli azzurri dovranno essere preparati come lo era il Barcellona di Luis Enrique. Nessun contraccolpo psicologico, nessuna strategia stravolta. Se dovesse segnare la Juventus, gli azzurri dovranno continuare a macinare calcio alla ricerca dei quattro gol. Attenzione però a non subirne un secondo.