TOTÒ – Mento pronunciato, bombetta, sguardo da cane bastonato, postura da rachitico piegato della fame e gambe larghe; è questa grossomodo l’iconografia classica del principe della risata, Antonio De Curtiis. È inscindibile infatti il rapporto che lega questo nobiluomo partenopeo di inizio secolo e la formidabile maschera che ha ideato. Un poeta dell’immagine e del racconto ironicamente disincantato di un popolo, il suo popolo. È possibile scrutare nelle espressioni mestamente comiche di questo artista inarrivabile tutti i vuoti che affliggevano la Napoli della metà del novecento.
L’ESPRESSIONE DELLA CITTÀ – I vuoti di Napoli, sono proprio loro i protagonisti dell’icona Totò. Una città postbellica distrutta dal vuoto generato dei politici nazionali; una città vuota di spazi condivisi in cui riecheggiavano vicolo a vicolo i morsi della fame, gli stomaci vuoti; una città inginocchiata al vuoto della propria storia splendente e sospesa ai singulti di un vulcano capriccioso; il vuoto dei senza nome, degli Esposito; il vuoto del sottosuolo cittadino, in cui giace la storia. Erano questi tutti i vuoti che solcavano ogni riga ed espressione del Principe. Ogni parola, gesto o racconto su Totò, o sulla sua figura, sono un macigno che pesa come monito al futuro della città, la via tracciata dai grandi che sempre più ci rifiutiamo di seguire.
L’UOMO – Un’umanità senza eguali ci è pervenuta nei tanti racconti cittadini. Come sempre in città il racconto difficilmente si distingue dal mito o dalla voce di popolo, ma nel caso di Totò tali fatti vengono plebiscitariamente confermati; e allora ricordiamo le passeggiate notturne in cui infilava negli stipiti delle porte delle banconote per dare sollievo economico alle famiglie dei quartieri popolari; ricordiamo il gran numero di donne che lo hanno amato e accompagnato; ricordiamo la benevolenza incondizionata di cui godeva soprattutto fra i più umili; ricordiamo infine di come la critica italiota avesse trattato e bistrattato De Curtiis, salvo poi celebrarlo dopo la morte.
L’ARTISTA – Molto spesso quando si parla dei grandi personaggi della storia dell’arte napoletana si tende ad affermare che “definirlo artista sarebbe riduttivo, lui era la città”; nel caso di Antonio De Curtiis, data comunque per vera tale definizione, è vero anche il contrario. L’immensità artistica e l’ineguagliabile talento del Principe infatti possono essere definiti più il racconto personale dell’uomo per l’uomo, che la fotografia fedele della città. Tutti i lavori di Totò infatti hanno il sapore dell’artista che racconta nel bene e nel male se stesso ed il suo popolo a se stesso ed al suo popolo, senza pretendere soluzioni di continuità. Inutile, infine, rammendare un elenco di collaborazioni illustri che andrebbero da Fellini, De Sica, Sordi, De Filippo a Pasolini, Sordi, Tognazzi ed una lunga fila di nomi da far tremare i polsi.
IL RICORDO – Per un napoletano dire di ricordare Totò è come dire di ricordarsi di respirare, ma in questo giorno particolare le parole, anche se scontate o referenziali, non sono mai superflue. Una frase del Principe della risata però viene in aiuto a dargli un commiato, raccontando l’uomo, l’ironia, l’artista e il napoletano: «al mio funerale sarà bello assai perché ci saranno parole, paroloni, elogi, mi scopriranno un grande attore: perché questo è un bellissimo paese, in cui però per venire riconosciuti qualcosa, bisogna morire», Auguri Totò.
Marco Coppola