
NAPOLI – Un tridente vincente al teatro Bellini per lo “Zio Vanja” di Anton Cechov. Sul palco Michele Placido e Sergio Rubini diretti da Marco Bellocchio per una personale ma attenta reinterpretazione del testo ottocentesco. Altamente scenico e brillante Rubini nei panni del protagonista, eccentrico e accentratore Placido che, pur non protagonista, domina la scena nel ruolo del professor Serebrjakov.
LA TRAMA – La trama, nota o meno, ha il suo inizio nella casa di campagna ereditata dal professor Serebrjakov, cognato di zio Vanja e padre di Sonia. La prima moglie, sorella di Vanja, è deceduta e il professore si è risposato con Helena. Tra amori e vicissitudini di vario genere, Serebrjakov comunica a Vanja che è intenzionato a vendere il podere e questo fa uscire fuori tutto il temperamento del povero zio, che alla fine tenta di uccidere il professore con dei colpi di pistola, che miseramente non andranno a segno. Alla fine l’agiato ereditiere e Helena torneranno in città, lasciando a Vanja la possibilità di continuare ad amministrare la tenuta.
RISPETTATO IL CINISMO DI CECHOV – Cechov riesce a fare una riflessione profonda sulla società del suo tempo, votata al fallimento perché incapace di dare speranza nel futuro. Una lotta generazionale che cerca disperatamente di crearsi il proprio futuro senza riuscirci. Bellocchio riesce nell’intento, che è del drammaturgo russo, di portare il pubblico ad analizzare i personaggi e la situazione con lo stesso sguardo clinico usato da Cechov, come al microscopio. Sul palco del Bellini fino al 19 gennaio, Pier Giorgio Bellocchio è Astrof, Anna Della Rosa è Sonia, Lidiya Liberman è Elena, Bruno Cariello è Teieghin, Marco Trebian, veste i panni dell’operaio, mentre Maria Lovetti e Lucia Ragni sono rispettivamente la Balia e la Madre.
DAL CINEMA AL TEATRO – Marco Bellocchio è uno dei registi più anticonformisti della storia del cinema italiano. Coraggioso, puntuale, deciso, ha saputo portare avanti le sue idee laiche, difendendole con la forza espressiva dell’arte, entrando nella complessità degli argomenti, dalla politica sessantottina alle conseguenze drammatiche degli anni di piombo, dalla follia dei manicomi all’incapacità di amare delle persone comuni.
Vincenzo Vinciguerra